La straniera – Unità 4

Destinatari: Adulti                             Livello: B2/C1            Cristina Di Bari

La straniera

La letteratura nella didattica dell’italiano agli stranieri

Unità 4 – La migrazione in Italia oggi

Attività 1: L’avvicinamento al testo

https://www.rainews.it/archivio-rainews/media/Roma-viaggio-a-Torpignattara-tra-negozi-bengalesi-e-abitanti-esasperati-per-il-degrado-1cb3cdee-4fcf-42f4-aaf4-0ee6817c7622.html

Guarda il video e riassumi i concetti principali in un audio.

Puoi paragonare questo quartiere di Roma ad altri nella tua città o in luoghi che hai conosciuto? Per quali caratteristiche?

Confrontati con i compagni, raccontando la tua esperienza. Puoi aggiungere foto, video e audio.

Usa questo link: https://padlet.com/cdibari/i-quartieri-del-mondo-dod8jqr47x2s3szf

 

Attività 2: La comprensione del testo

IGIABA SCEGO, ESSERE ITALIANO PER ME, da La mia casa è dove sono, Milano, Rizzoli, 2010, pp. 150-151, 156-159

Leggi il brano e svolgi gli esercizi. 

La scrittrice Igiaba Scego (Roma 1974) nei suoi libri racconta la propria esperienza e il proprio rapporto con l’Italia e la sua patria d’origine, la Somalia, cercando di capire la propria identità culturale, cercando di contrastare gli stereotipi sulla migrazione. È molto impegnata nel dibattito pubblico sul tema dei diritti dei migranti e dei loro figli.  

La prima lingua che ho parlato è stato l’italiano. Ma tutte le ninne nanne e le canzoncine erano in somalo. Ogni tanto mio padre ci infilava anche una parola di bravano. Ero molto confusa da piccola. Ma era una bella confusione, saltellavo come un grillo da una lingua all’altra e mi divertivo come una matta a dire a mia mamma cose che il droghiere non potesse capire. È stato bello, molto bello; poi è arrivata la scuola e ha cambiato tutto. Lì mi dicevano: «Voi non parlate, fate i versi delle scimmie. Non si capisce nulla. Siete strani. Siete come i gorilla». All’epoca ero piccola e i gorilla, che sono animali splendidi, mi facevano un po’ paura per via della loro stazza. Non volevo essere un gorilla. Avevo constatato che la pelle nera non si poteva cancellare, quella me la dovevo tenere. Ma almeno sulla lingua potevo lavorarci. Avevo quattro o cinque anni. Non ero ancora una africana orgogliosa della sua pelle nera. Non avevo ancora letto Malcolm X. Quindi decisi di non parlare più il somalo. Volevo integrarmi a tutti i costi, uniformarmi alla massa. E la mia massa di allora era tutta bianca come la neve. Non parlare la mia lingua madre divenne il mio modo bislacco di dire «amatemi». Invece non mi amava nessuno. […]

Ma fu solo quando tornai in Somalia che ricominciai a usare la lingua di mia madre. Nell’arco di pochi mesi mi ritrovai a parlare il somalo molto bene. Ora posso dire di avere due lingue madri che mi amano in ugual misura. Grazie alla parola ora sono quella che sono.

Oggi che sono adulta vivo a Tor Pignattara, una Roma che confina con Pechino e Dakka.

È una Roma inedita che nemmeno io, afroitaliana, abituata da sempre a vivere a Roma Nord, conosco davvero. La mattina saluto tutti con un Ni hao (buongiorno) e la sera mi congedo con uno Scubo ratri (buonanotte). So essere gentile chiedendo alla gente Tu mi kemon a ciò (Come stai?), ma all’occorrenza so anche dire Pagol (pazzo), parolina che può tornare sempre utile se qualcuno rompe le scatole.

È una Roma che nessuno si aspetta. Una Roma dove la globalizzazione si è fatta carne. Il territorio compreso tra la ferrovia Roma-Pescara e la via Casilina racchiude interi universi e a volte non ti capaciti che questo sia possibile. Mio fratello la prima volta che è venuto a farmi visita qui dall’Inghilterra mi ha detto: «Ma Igi, vivi in Asia, lo sai?». Me lo ha detto con tono così stupito. Era così buffa l’espressione del suo volto. Era incappato proprio pochi minuti prima in un gruppo di ragazzi italiani e cingalesi intenti a giocare a cricket. Non si capacitava di come nella patria del calcio, nella patria di Gigi Riva e Gianni Rivera, fossero entrate le mazze quadrate e la palla di legno del cricket. Io ho risposto sorridendo. «Vivere in Asia» ho detto «ha i suoi vantaggi». Le mazze di cricket o i sari non sono altro che i segni di un futuro che non solo verrà, ma che è già qui da discreto tempo. Una futura Babele che io mi porto dentro da sempre.

In un certo senso anche l’Italia è Babele. Qui ci sono passati tutti, arabi, normanni, francesi, austriaci. C’è passato Annibale, condottiero africano, con i suoi elefanti. «Ecco perché molti italiani hanno i capelli scuri. Un po’ del sangue di Annibale è rimasto a tutti quanti nelle vene.» Essere italiani a ben vedere significa far parte di una frittura mista. Una frittura fatta di mescolanze e contaminazioni. In questa frittura io mi sento un calamaro molto condito.

Che significa essere italiano per me… Una domanda che batteva come un viandante sconosciuto alla porta di casa: io ho provato a scriverla una risposta. Essere italiano per me…

Una risposta, poche righe, qualche secondo per digitare sulla tastiera. Ma non mi veniva in mente niente.

Non avevo una risposta. Ne avevo cento.

Sono italiana, ma anche no. Sono somala, ma anche no.

Un crocevia. Uno svincolo.

Un casino. Un mal di testa.

Ero un animale in trappola.

Un essere condannato all’angoscia perenne.

Essere italiano per me…

Poi mi sono ricordata di un racconto di Karen Blixen.

Lo avevo letto da adolescente in biblioteca.

Mi aveva colpito il titolo Il primo racconto del Cardinale. Ricordo che una signora chiedeva al Cardinale: «Ma tu chi sei?», e a questa domanda «Chi sei?» il Cardinale ribatteva: «Risponderò con una regola classica: racconterò una storia».

Era questa la chiave.

Era inutile cercare di riempire i punti di sospensione delle definizioni.

Era una battaglia persa in partenza.

Quei puntini ci avrebbero perseguitato per tutta la vita.

Era meglio fare come il Cardinale: provare a raccontare il percorso che si era fatto fino a quel momento; e forse i percorsi di chi sentiamo veramente vicini.

Comprensione globale

Comprensione analitica

Inserisci: che – poi – che – però – ma – per cui – finché 

Attività 3: La produzione di un testo

Leggi questo secondo brano e, se vuoi, guarda la video-intervista della scrittrice https://www.youtube.com/watch?v=YIcxltMxIT4

IGIABA SCEGO, SALSICCE, da Pecore nere, Bari, Laterza, 2010, pp. 29-30

Mi sento somala quando: 1) bevo il tè con il cardamomo, i chiodi di garofano e la cannella; 2) recito le 4 preghiere quotidiane verso la Mecca; 3) mi metto il dirah; 4) profumo la casa con l’incenso o l’unsi; 5) vado ai matrimoni in cui gli uomini si siedono da una parte ad annoiarsi e le donne dall’altra a ballare, divertirsi, mangiare… insomma a godersi la vita 6) mangio la banana insieme al riso, nello stesso piatto, intendo; 7) cuciniamo tutta quella carne con il riso o l’agnello; 8) ci vengono a trovare i parenti dal Canada, dagli Stati Uniti, dalla Gran Bretagna, dall’Olanda, dalla Svezia, dalla Germania, dagli Emirati Arabi e da una lunga lista di stati… tutti parenti sradicati come noi dalla madrepatria; 9) parlo in somalo e mi inserisco con toni acutissimi in una conversazione concitata; 10) guardo il mio naso allo specchio e lo trovo perfetto; 11) soffro per amore; 12) piango la mia terra straziata dalla guerra civile; 13) faccio altre 100 cose.

Mi sento italiana quando: 1) faccio una colazione dolce; 2) vado a visitare mostre, musei e monumenti; 3) parlo di sesso, uomini e depressioni con le amiche; 4) vedo i film di Alberto Sordi, Nino Manfredi, Vittorio Gassman, Marcello Mastroianni, Monica Vitti, Totò, Anna Magnani, Giancarlo Giannini, Ugo Tognazzi, Roberto Benigni, Massimo Troisi; 5) mangio un gelato da 1,80 euro con stracciatella, pistacchio e cocco senza panna; 6) mi ricordo a memoria tutte le parole del 5 maggio di Alessandro Manzoni; 7) sento per radio o tv la voce di Gianni Morandi; 8) mi commuovo quando guardo negli occhi l’uomo che amo, lo sento parlare nel suo allegro accento meridionale e so che non ci sarà un futuro per noi; 9) inveisco come una iena per i motivi più disparati contro primo ministro, sindaco, assessore, presidente di turno; 10) gesticolo; 11) piango per i partigiani, troppo spesso dimenticati; 12) canticchio Un anno d’amore di Mina sotto la doccia; 13) faccio altre 100 cose.

Immagina di essere la protagonista del testo: inserisci su Mentimeter le caratteristiche, oggetti, luoghi, persone, azioni che ti fanno dire di essere te stesso/a.

Che cosa forma la nostra identità? 

Link: https://www.menti.com/alkrcw7jy5qr

Scegli poi quattro tra queste e spiegale in una presentazione condivisa usando foto e immagini. 

Per condividere con i compagni del corso: https://docs.google.com/presentation/d/1_k2DWHYz37WTLYWEekYnGWloEGNGNkzEq8jWjs2wnvc/edit?usp=sharing